da La Nuova Sardegna 23 maggio 2010
Il bavaglio che si vuole mettere alla libera stampa
rischia di farci precipitare in un regime illiberale
di Filippo Peretti
Il popolo ha fame perché manca il pane? «Che mangino brioches», rispose la regina nel Settecento. Oggi il popolo è nauseato dagli scandali della politica e chiede legalità? «Dategli solo notizie positive», ribatte il governo Berlusconi.
Con il disegno di legge sulle intercettazioni — se approvato dal Parlamento nell’attuale testo — l’Italia farebbe un balzo indietro nella storia. Tutta la cronaca giudiziaria (non solo quella sulle intercettazioni) sarebbe vietata sino all’udienza preliminare, che — è bene ricordarlo — nei casi scottanti arriva dopo diversi anni: significa che se il provvedimento fosse stato già in vigore gli italiani non avrebbero saputo della casa di Scajola e i sardi che il loro presidente è indagato. E forse, viste le restrizioni all’attività degli inquirenti, le inchieste non sarebbero neppure partite: per cui Scajola, abitando tranquillamente davanti al Colosseo, sarebbe ancora ministro, Anemone continuerebbe a regalare case a destra e a manca, mafiosi e faccendieri dell’affaire eolico scorrazzerebbero su e giù per la Sardegna senza avere nulla da temere.
E’ un balzo indietro perché questa operazione si chiama censura preventiva. Termine che pareva definitivamente cancellato con l’avvento della moderna democrazia repubblicana.
Che cosa è, se non censura preventiva, una legge che vieta di pubblicare notizie non più coperte dal segreto?
Che cosa sono, se non intimidazioni nei confronti di editori e giornalisti, le sanzioni pecuniare e disciplinari in dosi non sostenibili dalle aziende e dai singoli cronisti?
Che cosa diventa un Paese che non garantisce ai cittadini il diritto di essere informati e che colpisce chi porta all’attenzione dei lettori atti di pubblico interesse che hanno l’unico difetto di essere sgraditi ai detentori del potere?
Il governo dice di voler semplicemente tutelare la privacy dei cittadini. Che, però, è già tutelata. I giornalisti devono ammetterlo: ci sono stati anche abusi. E infatti sono stati giustamente sanzionati con le regole esistenti.
La verità è che gli abusi sono presi a pretesto dal governo per tagliare le intercettazioni (lo strumento più efficace delle Procure contro il malaffare), per introdurre norme-bavaglio a protezione della «casta», per dare un colpo mortale all’indipendenza della vera editoria e del vero giornalismo.
Il dibattito nell’aula di Palazzo Madama è arrivato alla fase decisiva. Nello stesso centro destra ci sono ripensamenti su alcuni punti, come il carcere per i cronisti non allineati.
C’è spazio per una correzione più ampia? Dipenderà anche dalla mobilitazione sociale. Non è una questione che riguarda solo gli addetti ai lavori, tutti sanno che la democrazia non può vivere senza la libertà di informazione.
Nell’isola la protesta è già partita. E oggi l’Ordine dei giornalisti della Sardegna proporrà che il livello nazionale decida di fare ricorso urgente all’Unione europea perché il ddl-intercettazioni voluto dal governo è in palese violazione dei documenti di Bruxelles che vietano agli Stati membri azioni legislative contro l’indipendenza dell’informazione e che suggeriscono, ove non vi siano, la nascita di strumenti di autogoverno della stampa.
Sono allo studio altre iniziative clamorose. Questo Ordine dei giornalisti, nato dopo il fascismo proprio in difesa dell’autonomia della professione, non può trasformarsi nel «braccio armato» del potere facendosi complice delle censure e accettando di ratificare sospensioni dall’Albo decise altrove.
Colpire un cronista che ha dato una notizia vera è una contraddizione non sanabile: appartiene ad altri regimi.