I costi della politica, la Regione molto più cara delle Province


CAGLIARI. Il “costo politico” della Regione è molto più alto di quello delle Province che, tra le istituzioni elettive, sono le meno care in assoluto. La guerra dei numeri è riesplosa nell’attesa che il tribunale di Cagliari si pronunci sul ricorso presentato dalle Province contro quattro dei dieci referenedum sardi del 6 maggio. La decisione dei giudici riguarda i quesiti che puntano ad abrogare i nuovi enti intermedi di Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Dopo che il Tar ha dichiarato la propria incompetenza giurisdizionale, l’Ups si è rivolta alla magistratura ordinaria presentando anche una richiesta di sospensiva. L’incertezza ora è su questo punto: tra dieci giorni si voterà per tutti i referendum o per sei? I quattro in bilico sono quelli con maggiore significato politico se solo si pensa al grande clamore suscitato pochi anni fa dall’istituzione delle nuove Province.
Contro i nuovi e i vecchi enti intermedi si è scatenata un’offensiva generale tanto che le Province sono diventate l’emblema dello spreco delle risorse destinate ai costi della politica. Ragionando sui dati, però, si vede che la situazione è molto più complessa.
Per questa campagna referendaria l’Unione Province sarde ha preparato un dossier. Il primo dato è quello che punta a smentire l’inutilità di questa istituzione. L’Ups ricorda che in Europa tutti i 25 Paesi hanno i Comuni e che 23 hanno le Province, mentre solo 17 hanno le Regioni. E in ogni caso, tutti gli Stati che hanno le Regioni hanno le Province.
Vediamo il costo generale in Italia per quanto riguarda la spesa pubblica. Le Regioni hanno un bilancio complessivo di 168 miliardi (8 quella sarda), di cui 116 per la Sanità, mentre i Comuni costano 72 miliardi e le Province 11, vale a dire l’1,35 per cento del totale.
Per quanto riguarda il costo degli eletti sono le Regioni a pesare di più: sempre nel complessivo italiano “valgono” 844 milioni (42,1%), contro i 591 dei Comuni (29,5%), i 459 del Parlamento nazionale (22,9%) e i 111 milioni delle Province (5,5%).
Ed eccoci al dato complessivo della Sardegna. Partiamo dai costi degli organismi istituzionali. La Regione, comprendendo il bilancio del Consiglio e le spese politiche della presidenza della giunta e degli assessorati (esclusi cioé tutti i servizi amministrativi per l’esterno) ha secondo i calcoli dell’Ups una spesa complessiva di 104 milioni (71 solo il Consiglio), che valgono qualcosa come 62,3 euro pro capite per i sardi. Gli organismi delle Province, secondo l’Ups, sono invece più leggeri e arrivano a 6,5 milioni, pari a 3,89 euro per ciascun sardo.
All’interno della spesa degli organismo c’è la parte che riguarda i compensi riservati agli eletti. E anche in questo caso la spesa è molto più alta per la Regione: il totale (indennità per i singoli consiglieri più assegnazioni aggiuntive e spese dei gruppi politici) si arriva a 23,8 milioni, pari a 14,87 euro per ogni sardo. Il costo degli eletti alla Provincia è invece di 4,2 milioni, pari a 2,62 euro pro capite per i sardi.
I numeri non si fermano qui. Secondo l’Ups il trasferimento delle funzioni dallo Stato e dalla Regione alle Province sarde ha fruttato un risparmio 80 milioni di euro, E inoltre mentre la Regione ha un debito di 2 miliardi e 152 milioni, mentre quello delle otto Province isolane è fi 212 milioni. Grande differenza anche per i residui passivi: 5 miliardi e 120 milioni quelli della Regione, 841 milioni quelli delle Province.
La battaglia delle Province è comunque spacciata. Perché, dopo il decreto Monti, gli enti intermedi saranno eletti direttamente dai consigli comunali del territorio tra i loro membri, avranno al massimo dieci consiglieri e neanche un assessore. Molti pensano che debbano essere abolite del tutto. Altri dicono di no, perché l’attribuzione dei compiti a Regioni e Province potrebbe essere più costoso. Il ragionamenti, visti i tempi, dovrà essere sui numeri e non ideologico. Anche se sul piatto della bilancia si potrebbero mettere – almeno si spera – i vantaggi che la politica diffusa può garantire, se davvero funziona, per i territori più emarginati.