
di Filippo Peretti
CAGLIARI. «Sono tranquillo, ho fiducia nella magistratura, ne parlerò subito in Consiglio regionale». Ugo Cappellacci sorride ma si vede che è scosso alla festa della polizia, dove gli sguardi sono tutti su di lui, il neo indagato eccellente di questa inchiesta romana. Già, ancora da Roma: in un anno gli è arrivato di tutto, dagli schiaffi agli scippi e ora un guaio giudiziario un tantinello imbarazzante.
Cappellacci dice di aver appreso dai giornalisti la notizia dell’avviso di garanzia. Sicuramente, però, se l’aspettava: il suo nome è comparso in diverse intercettazioni telefoniche tra diversi indagati per i presunti imbrogli sull’eolico, egli stesso è stato intercettato, gli incontri con Flavio Carboni ci sono stati (quante volte si pentirà di un errore così macroscopico non solo dal punto di vista politico?).
Come reagisce? All’inizio con decisione. Dice a un giornale: «Sarò giudicato dai fatti: la mia giunta non ha concesso alcuna autorizzazione e anzi, con riferimento a energie rinnovabili e appalti, abbiamo chiuso nell’armadio a doppia mandata i vasetti della marmellata». Per dire che gli appetiti c’erano, eccome. E prosegue: «Gli atti dicono che la mia giunta non si è mai piegata alle speculazioni e l’incontro con Flavio Carboni che mi sarebbe stato contestato è avvenuto in un’occasione ufficiale alla quale erano presenti anche magistrati. Mi ha prospettato un accordo di programma, gli ho risposto che non era possibile e non se ne è parlato più».
Col passare delle ore l’umore cambia. Cappellacci rifiuta le interviste e non vuole partecipare alla festa della polizia. Si convince ad andarci solo per dimostrare di non essere in imbarazzo più di tanto. Ma va via quasi di corsa aggirando l’assalto dei giornalisti. Nel pomeriggio rilascia una dichiarazione via e-mail: «Ho appreso dai giornali di essere indagato nell’ambito della nota vicenda riguardante gli investimenti nell’eolico. Aspetto tranquillo e fiducioso nel lavoro della magistratura di conoscere i fatti e le circostanze oggetto di indagine». Aggiunge: «Sono certo che emergerà con tutta evidenza la correttezza, la trasparenza e il rigore del lavoro della giunta. Sin dai prossimi giorni trasferirò questa mia consapevolezza al Consiglio regionale».
Poco dopo il governatore, attraverso il suo portavoce, replica a Renato Soru, al quale rimprovera «un giustizialismo becero che non si può permettere». Un modo per ricordare che il suo rivale è sotto processo e che egli, quando esplose il caso Saatchi, non disse una parola. Cappellacci è stato indagato due volte nell’ambito della sua breve esperienza di assessore regionale al Bilancio (dalla fine del 2003 alle elezioni del 2004, quelle di Soru) uscendone sempre prosciolto. Di quei due anni da inquisito ha un pessimo ricordo. «So cosa si passa - disse una volta - e non lo auguro a nessuno».
Gli è toccato di nuovo e quindi sa cosa l’aspetta. Ed è per questo che da una cert’ora ieri sera la sua casa è un rifugio inespugnabile, se si escludono gli sms. Nella sua abitazione a un passo da Monte Urpinu il presidente ha forse iniziato a rivedere con calma il film dei suoi quattordici mesi di governo e a riflettere sul fatto che per chissà quale crudelo gioco del destino Roma lo ha portato alla ribalta della politica e Roma gli sta dando le batoste più dolorose.
E’ a Roma che Cappellacci, da tempo grande favorito benché nel più assoluto riserbo, il 27 dicembre 2008 viene candidato da Silvio Berlusconi su proposta di Romano Comincioli, il vero braccio destro del Cavaliere, con il pienissimo assenso di Denis Verdini, da poco alla guida di Forza Italia: proprio alla convention azzurra di un mese prima (era il 21 novembre, sempre a Roma) Cappellacci è uno dei più convinti sostenitori del nuovo corso verdiniano. Dietro le quinte, come suo solito, c’è Gianni Letta, i cui consolidati rapporti col Vaticano assicureranno al candidato del centrodestra il plateale appoggio della Chiesa sarda in campagna elettorale (e poi la collaborazione con Guido Bertolaso, ma questa è un’altra storia).
In quei giorni di festività natalizie, grazie a tutti questi sponsor Cappellacci non fatica a battere la concorrenza del suo sindaco, Emilio Floris, che vantava il sostegno di Beppe Pisanu.
Febbraio 2009, Cappellacci vince le elezioni su Soru. A marzo forma la giunta, ma già ad aprile capisce che qualcosa che non funziona: Berlusconi gli porta via il G8 senza neanche avvertirlo: uno schiaffo da cui è difficile riprendersi. A maggio gli si apre un nuovo fronte: Pisanu, che da ministro dell’Interno la notte delle elezioni del 2006 vinte da Romano Prodi non assecondò il desiderio del premier di gridare al «broglio», gli sferra la prima di una serie di critiche al grido di «Sardegna svegliati». A giugno esplode il caso dello scippo dei fondi Fas e del mancato finanziamento della Sassari-Olbia (arriverà poi la nomina a commissario, ma senza le risorse necessarie).
In autunno parte ufficialmente l’offensiva dei dissidenti: contestano soprattutto la gestione del neonato Pdl sardo, dominato dagli esponenti più vicini ai dirigenti romani che contano (Verdini, Comincioli, Scajola) e alla giunta: il coordinatore Mariano Delogu, la presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo, il capogruppo Mario Diana, i deputati Salvatore Cicu e Piero Testoni.
Non si sa ancora per quali precise ragioni (difficile scoprirlo in un partito come il Pdl che sino al caso Fini teneva poche riunioni e quasi sempre molto riservate) ma a un certo punto gli equilibri su cui si regge l’attivismo di Cappellacci si rompono. Il governatore si avvicina sempre di più a Verdini e si allontana da Comincioli, il rapporto con Letta non gli garantisce più la corsia preferenziale col premier e persino i berlusconiani doc come Mauro Pili iniziano ad attaccarlo. L’offensiva più dura di Pili è proprio sull’eolico e sui tentacoli della mafia in Sardegna. Dopo che una norma regionale aveva allentato i vincoli messi nella legislatura Soru, Cappellacci nel marzo scorso dà uno stop netto a qualsiasi progetto senza averne mai approvato alcuno. Ora la magistratura romana sta indagando proprio sulle modifiche alle norme di legge e sulle delibere che hanno imposto il blocco. Oltre che su alcune nomine: funzionali a quali iniziative?
Ci sono, su questi punti, diverse chiavi di letture. Secondo alcuni lo stop è stato dato da Cappellacci per ragioni politiche: rispondere con atti concreti agli attacchi di Pili e del centrosinistra sull’eolico, in particolare sull’off-shore. Secondo altri è stato un modo per rispondere alle notizie di indagini aperte dalla magistratura. Secondo altri ancora è stato il modo di rispondere «con i fatti» alle pressioni provenienti da Roma e forse da Palermo. Lo ha detto il capogruppo Diana: «Quelle tre delibere sembrano una legittima difesa, certi interlocutori forse erano pericolosi».