Elezioni-referendum sulle Province

La Nuova Sardegna 13 maggio 2010

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Nel 2005, primo voto sulle otto Province, l’affluenza dei sardi alle urne balzò in alto di due punti rispetto alla precedenti elezioni. A distanza di cinque anni c’è la stessa fiducia nelle nuove realtà istituzionali? La risposta la daranno gli elettori il 30 e 31 maggio. Nel frattempo i leader politici impegnati in questi giorni nella ricerca del consenso registrano umori differenti tra i cittadini e segnalano l’esigenza di una riforma che chiarisca meglio competenze e funzioni. Tra ipotesi di rilancio e ipotesi di abolizione, c’è chi pensa a un referendum.

Già queste elezioni assomigliano tanto a un referendum: sulla Provincia come istituzione prima ancora che sui presidenti uscenti e aspiranti. Sarà il dato sull’affluenza a dire se l’ente intermedio, il «cuscinetto» tra Regione e Comuni, ha un futuro con un ruolo ben preciso o se dovrà rassegnarsi al definitivo tramonto. «Le nuove Province sono state istituite - ricorda il deputato del Pd Paolo Fadda - sulla base di una forte spinta popolare. E’ quindi giusto che a decidere siano ancora i cittadini. Chiederò al mio partito di farsi promotore di un referendum che possa orientare le scelte delle forze politiche e della Regione».

In tempo di crisi la linea dell’abolizione tout-court delle Province si va irrobustendo in tutta Italia, in Sardegna il dibattito è soprattutto sulle «nuove». «La loro istituzione? Una cosa sbagliatissima», dice con franchezza il coordinatore regionale del Pdl, Mariano Delogu: «Non era il caso raddoppiare». Ma Delogu non va oltre, anche per una cautela preelettorale: «Otto Province in una Regione come la nostra sono troppe, ma ora dovrà essere fatta una valutazione più complessiva». Ancora Paolo Fadda suggerisce una strada: «La giunta di centrodestra ha proposto il riordino della sanità e delle Asl, credo che sia l’occasione per fare un unico discorso». Del resto le nuove Province sono nate lungo la strada tracciata dieci anni prima dalla istituzione delle otto Asl. «Fu una mia sconfitta - ricorda Fadda - perché da presidente della commissione Sanità del Consiglio regionale io ne proponevo quattro con gli stessi confini delle Province storiche. Vinsero le spinte campanilistiche». Delogu è d’accordo con Fadda sull’idea di unire la riforma delle Asl a quella delle Province? «Valuteremo», risponde senza sbilanciarsi.

Per trovare un po’ di entusiasmo bisogna andare nella solita Gallura, che non a caso nel 2005 fece registrare il boom di votanti. «L’attività politica e amministrativa questi anni non ci deve scoraggiare - dice il deputato del Pdl Settimo Nizzi - perché le Province come istituzione restano valide». Ma il Pdl di Silvio Berlusconi non ne ha proposto l’abolizione? «Sì è vero - ammette Nizzi - ed è la Lega che sta frenando. Ma non siamo ancora preparati a farne a meno: bisogna studiare soluzioni operative valide, non si può improvvisare con le sole Unioni dei Comuni». E quale sarebbe il ruolo prioritario? «Il coordinamento delle politiche di sviluppo del territorio mettendo insieme - dice Nizzi - le città e i paesi».

L’abolizione garantirebbe un risparmio finanziario? «Sarebbe quasi irrilevante», dice Nizzi. Che comunque, anche per ragioni di parte visto che il centrodestra ha governato solo a Oristamo, afferma che «il bilancio di questi cinque anni è negativo». Ma conclude dicendo di essere «comunque ottimista».

Un giudizio positivo («diversamente da quello che sostengono tutti») dà invece il deputato del Pd Giampiero Scanu. Intanto per una ragione: «Territori importanti, prima trascurati dalle rispettive città capoluogo, hanno potuto esercitare una soggettività politica nuova». E poi perché «le Province sono dotate di poteri e potestà che le rendono capaci di lavorare per lo sviluppo, attraverso infrastrutture, programmazione, organizzazione sociale, sinergie tra diverse filiere». Scanu dal 2006 all’inizio del 2008, da sottosegretario alla Funzione pubblica, ha messo insieme le nuove Province sarde e cinque ministeri per individuare cespiti e ottimizzare la spesa «consentendo alle istituzioni di lavorare bene». Insomma, conclude, enti utili «all’economia e alla democrazia».

C’è chi dice che le Province servono solo a distribuire prebende, così come altre soluzioni, quali i coordinamenti tra Comuni, a moltiplicare le indennità perché la democrazia ha un costo. Altri affermano, invece, che il loro ruolo è essenziale, perché altrimenti, senza compensazioni territoriali, i centri più ricchi sbranerebbero i più deboli.

Il due volte presidente della Regione Mario Floris, leader dell’Uds, è oggi presidente della commissione Riforme e dà un giudizio di «luci e ombre» di questi cinque anni. Consigliere regionale dal 1974 (con una sola pausa di cinque anni ha il record assoluto di legislature) può permettersi di ragionare guardando a un passato non vicinissimo. «Gli enti intermedi servono - dice - e noi abbiamo sperimentato le comunità montane, i comprensori, le vecchie e nuove Province, le unioni di Comuni. Non si tratta di dire conservare o abolire, questa è politica sterile. Bisogna arrivare a una riforma per realizzare ciò che serve davvero». L’occasione, spiega, «sarà la riforma della finanza locale, che affronteremo quanto prima per regolare il rapporto tra la Regione e le autonomie locali. Lì bisognerà fare un ragionamento complessivo, oggi c’è troppa confusione di poteri e ruoli». Floris è dell’idea che «la Regione debba spogliarsi di quasi tutto, conservando solo la programmazione, la legislazione e il controllo, oltre che la gestione dei servizi generali e delle opere di valenza regionale». Tutto il resto ai Comuni e a organismi di coordinamento.

Condivide Carmelo Porcu. «Dopo le elezioni - spiega il deputato del Pdl - sarà meglio mettersi a discutere. La Provincia così com’è non è efficace». L’obiettivo? «Un federalismo interno in cui ciascuno abbia un ruolo preciso».