Segni: "Con i referendum l'Italia è cresciuta, ma ora con Berlusconi..."

La Nuova Sardegna 27 aprile 2010

di Filippo Peretti

CAGLIARI. Mario Segni, il leader che ha legato il proprio nome al movimento referendario che con l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Regioni e Province ha rinnovato la politica italiana, presenta domani a Sassari (Camera di commercio, 18.30) il suo libro sui vent’anni di battaglie: «Niente di personale, solo cambiare l’Italia». Al dibattito anche Antonello Mattone e Antonio Serra.

— Mario Segni, con il libro traccia un bilancio di vent’anni. Soddisfatto?
«Direi orgoglioso».

— Tra i suoi ci sono però molti delusi.
«Il libro lo avrei voluto intitolare al referendario ignoto, per dire ai tanti che si sono impegnati che ne è valsa la pena».

— E perché ne è valsa la pena?
«Perché abbiamo impresso la svolta storica più importante degli ultimi decenni».

— La delusione è spiegabile col fatto che i risultati non sono quelli sperati?
«Gli autori dei processi storici soffrono per il mancato successo completo. E’ capitato persino a Mazzini».

— Teme una controriforma?
«E’ la cosa che temo di più».

— Chi ha aiutato di più il movimento referendario?
«L’appoggio popolare».

— C’è ancora la voglia di proseguire?
«No, non c’è più».

— Eppure si parla di battaglie in preparazione.
«In una fascia minoritaria c’è ancora consapevolezza e decisione di fare».

— Negli altri prevale la rassegnazione?
«No, è una fase storica che è finita».

— E’ finita la stagione referendaria?
«In questa fase il referendum è stato ucciso dalla classe politica».

— E’ consideato uno strumento superato?
«Invece è più importante che mai, in una democrazia giovane e in un sistema di governi forti il referendum va tutelato».

— Cosa le piace di più delle conquiste fatte?
«La svolta nei Comuni. A Sassari si vota a fine maggio e la sera si conoscerà il vincitore. Una volta il sindaco era eletto dal consiglio comunale che poi passava la metà del tempo a cercare di cacciarlo. Mediamente ci riusciva dopo un anno».

— Lei è sempre favorevole all’elezione diretta del premier?
«Sì, l’elezione diretta ha cambiato il modo di fare politica, ha migliorato i Comuni e sta migliorando le Regioni. Perché non farlo anche a livello nazionale?».

— Forse perché la proposta del Sindaco d’Italia, come la chiama lei, viene ritenuta un po’ pericolosa.
«Lo si pensa perché oggi, dall’altra parte della medaglia, c’è la morte del Parlamento».

— Provocata da che cosa?
«Dalla sciagurata legge delle liste bloccate».

— Lei è presidenzialista e difende il Parlamento?
«Proprio da presidenzialista dico che con un governo forte c’è bisogno di un Parlamento forte, non morto».

— E la battaglia contro la partitocrazia?
«Ora è pure peggio, c’è una forma di centralismo democratico realizzata dalla destra italiana con il consenso tacito della sinistra».

— Anche la sinistra?
«Nei due anni di governo non ha cambiato la legge sulle liste bloccate».

— Eppure nei cittadini fa scandalo.
«Non è nemmeno immaginabile che Obama provi ad assumere il potere di nomina dei membri del Senato e del Congresso».

— E sulla riforma sanitaria ha dovuto faticare parecchio.
«Ha dovuto convincere i democratici uno a uno, e una parte non l’ha convinta. Perché gli eletti rispondono agli elettori e non al presidente. E questo il vero contropotere».

— Da noi invece i parlamentari non hanno questa possibilità?
«Col sistena uninominale erano eletti nel collegio e rispondevano agli elettori: se il candidato era sbagliato veniva bocciato. Oggi rispondono ai signori delle liste».

— Lei si riconosce nella parte moderata e liberale. Cosa le rimprovera?
«Di essere stata poco moderata e poco liberale. Si è fatta trascinare dalla Lega e con le leggi ad personam e il conflitto di interessi ha minato le fondamenta dello Stato di diritto».

— Cosa c’è da fare?
«Cambiare la Costituzione per arrivare al Sindaco d’Italia».

— Ottimista?
«Esprimo tutto il mio pessimismo, questa riforma non lo vuole nessuno».

— Perché?
«La Lega perché è interessata solo al federalismo fiscale, Berlusconi vuole il rafforzamento del proprio potere personale, la sinistra si è convinta che siamo alla vigilia di una svolta autoritaria».

— Condivide l’allarme?
«Non siamo alla vigilia di nulla, siamo semplicemente nel caos».

— Cosa dovrebbe fare la sinistra?
«Se dicesse sì al presidenzialismo e alla riforma del Parlamento aiuterebbero l’Italia a uscire dal pantano».

— Lei si fiderebbe di Berlusconi?
«L’Italia e le sue istituzioni sono più forti di lui».

— Davvero non teme una svolta autoritaria?
«No, non ci credo. Credo nei guasti che Berlusconi ha fatto, colpendo l’idea di legalità e convincendo gli italiani che le regole non servono».

— Cosa pensa dello scontro tra Berlusconi e Fini?
«Ho sentito Fini da Lucia Annunziata, la sua mezz’ora è stata perfetta: una posizione politica di minoranza dentro un grande partito, che fa la battaglia non uscendo, ma affermando un’idea diversa».

— Molti dicono che Fini ha sbagliato.
«Ha sbagliato a dare l’idea di uscire verso un centro pasticciato, questo sì».

— Lei preferisce che resti nel Pdl?
«Sarebbe un modo per democratizzare il partito».

— Lo scontro pubblico non l’ha scandalizzata?
«No. Viva la dialettica».

— Ne avrà viste nella Dc.
«E come no».

— Si stava peggio?
«No, è peggio oggi».

— I partiti hanno ancora un ruolo?
«Se saranno diversi. Peraltro c’è la Lega che prosperando con un metodo leninista».

— Funziona ancora?
«Solo nella fase di espansione. I problemi verranno dopo».

— Dicono che sia il partito più radicato.
«Il radicamento non è più tutto come prima».

— La Lega vince sul secessionismo?
«A me sembra che abbia temperato questa spinta, i voti li prende sulla paura dell’immigrazione».

— Lei dice di non temere Berlusconi ma nel libro conferma critiche molto dure.
«La vittoria di Berlusconi è di aver fatto dimenticare agli italiani che esiste il conflitto di interessi».

— Il degrado morale?
«Sì, il crollo civile che tra le sue conseguenze ha anche il dilagare della curruzione».

— Che cosa fare?
«Per il momento nulla. La spinta referendaria può rinascere se nel Paese rinasce una passione, se cambia il clima politico».

— Perché gli elettori finiscono nell’astensione?
«Non ci sono proposte adeguate».

— Trova ancora sponde a sinistra come all’avvio del movimento referendario?
«Molto più limitata. Occhetto fu determinante nella prima fase, poi la sinistra riformista, con Prodi, Veltroni, Barbera, Parisi, fu decisiva».

— E oggi il Pd?
«Con Bersani è stato conquistato dalla sinistra post comunista, proporzionalista, partitocratica, che illudendosi di vincere vuole tornare indietro di vent’anni».

— Cosa pensa delle manovre centriste?
«Non vedo né spazio né utilità. Casini è stato costretto, ma spero che rientri nel centrodestra e ne assuma la guida per dargli una linea moderata e europeista».