Ecco il Pdl di governo con il "patto per l'isola"

A fine 2012 c’era un Pd strarilanciato dalle primarie per il leader della coalizione e poi da quelle per i candidati in Parlamento. Poco più di un mese fa c’era invece un altro Pd, diviso dalle tensioni sulla composizione delle liste e percorso da qualche brivido di sfiducia dopo i mesi dell’ottimismo più sfrenato nel corso dei quali la vittoria alle politiche era stata data ormai per acquisita. La campagna elettorale ha fatto un miracolo ed è spuntato un Pd «di lotta e di governo».
da La Nuova Sardegna del 22 febbraio 2013

Il primo giorno a suonare la carica, proprio a Cagliari, è stato paradossalmente uno dei big che si è ritirato per evitare qualsiasi discussione sulle rottamazioni, Massimo D’Alema: «Attenzione che non abbiamo vinto, la partita è tutta da giocare». D’Alema aveva visto giusto (e Silvio Berlusconi non aveva ancora tirato fuori dal cilindro la proposta schock della restituzione dell’Imu).
Il Pd sardo ha fatto il resto con due mosse. La prima è quella degli otto camper che hanno consentito ai candidati e ai volontari di tenere trecento assemblee in tutta la Sardegna. La seconda mossa è stata quella di “regionalizzare” le elezioni politiche: pur all’interno del programma nazionale, nell’isola i democratici hanno messo in primo piano la Vertenza Sardegna. Il segretario Silvio Lai si è confrontato con tutte le forze sociali (sindacati dei lavoratori e delle imprese) e ha fatto una sintesi in quattro punti: soluzione definitiva della vertenza entrate anche con la revisione del patto di stabilità; il superamento del gap infrastrutturale, a iniziare da quello dei trasporti; lo sviluppo industriale del futuro, ecocompatibile e innovativo; lo spopolamento demografico.
Lai ha consegnato la sintesi a Pierluigi Bersani e il leader nazionale e candidato premier l’ha fatta propria. Tanto da impegnarsi su un punto che ha caratterizzato la sua visita a Cagliari: «Nel governo ci sarà una funzione dedicata alla gestione della Vertenza Sardegna».
Certo, i temi nazionali sono stati i più dibattuti nei confronti pubblici, perché gli elettori stanno giustamente seguendo con passione lo scontro sul futuro governo: e non è certo indifferente anche per i sardi se a governare sarà Berlusconi, Monti o Bersani (o Grillo). Ma l’attenzione ai temi specifici dell’isola ha assunto un significato politico preciso: il Pd ha dimostrato di essere pronto a ritornare anche al governo della Regione, sapendo che le elezioni regionali potrebbero essere anticipate. Lo stesso Bersani, parlando in Sardegna, ha detto che è giusto non perdere di vista i problemi locali nonostante l’importanza del voto nazionale. «Quando saremo al governo – ha detto – avremo bisogno che in Sardegna ci sia una giunta all’altezza della situazione al posto di Cappellacci che è del tutto inadeguato ad affrontare i gravi problemi dell’isola».
L’impressione che si è ricavata dalla campagna elettorale del Pd sardo è questa: la battaglia è stata condotta guardando a Roma ma pensando anche alla Regione. I candidati democratici, spesso affiancati dai consiglieri regionali, si sono mossi come se si trattasse di cercare le preferenze personale. Anche chi ha l’elezione sicura (i primi delle liste) ha cercato voto dopo voto.
Certo, fare la campagna elettorale stando all’opposizione è più facile. E in Sardegna il Pd è all’opposizione da quattro anni. «Per noi è fondamentale che la giunta Cappellacci duri il meno possibile, perché ogni giorno che passa sono nuovi guai per l’isola. C’è bisogno di una giunta che sappia affrontare le emergenze e costruire prospettive nuove, in linea con la ripartenza nazionale che il governo Bersani assicurerà al Paese.
Nelle ultime mosse del Pd, tuttavia, ci sono stati anche dei momenti d’ombra. Ad esempio lo scontro con due alleati della coalizione elettorale, Sel e Centro democratico, sulla mozione di sfiducia alla giunta Cappellacci. Il Pd non l’ha voluta firmare. «La maggioranza di Cappellacci deve implodere da sola – spiega Silvio Lai – e invece la mozione di sfiducia ha avuto l’effetto di ricompattarla almeno nella votazione in Consiglio regionale. Per noi è stato un errore, altri forse cercavano un po’ di visibilità per via della ricerca del consenso elettorale».
L’altro rimprovero che qualcuno fa al Pd è quello di non aprire ad alcuni alleati di Cappellacci, come Udc e Psd’Az. Senza un dialogo col Pd sulla prospettive, centristi e sardisti non molleranno il Pdl. Ma i democratici non vogliono fare pericolose aperture. Se le elezioni politiche diranno che il centrosinistra è già autosufficiente, il dialogo con Udc e Psd’Az non partirà neppure. Se invece l’alleanza Pd-Sel-Cd non dovesse bastare, allora le cose cambieranno. Si vedrà.
Per il momento l’attenzione è concentrata sulle elezioni politiche. Dal risultato sardo dipenderanno molti scenari: sia gli equilibri all’interno del partito sia l’avvio della corsa per la scelta del candidato alla presidenza della Regione.